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Esportare prodotti agroalimentari in Cina: sfide ed opportunità

Lo sviluppo economico che la Cina ha vissuto negli ultimi decenni ha influenzato la struttura e le abitudini della sua società: benché ancora caratterizzata da una forte sperequazione tra classi sociali e aree geografiche, si è consolidata una classe media in forte crescita e anche un segmento ad alto reddito. I “nuovi ricchi” (che sono il 10% dei 1,425 miliardi di cinesi, pari a oltre 100 milioni di persone), oltre ad avere una condizione economica in continuo miglioramento, stanno evolvendosi dal punto di vista culturale cominciando ad inserire nella millenaria tradizione culinaria cinese prodotti locali innovativi ed elementi di altre culture, prima fra tutte quella occidentale. Questa apertura sta creando interessanti opportunità per l’import di prodotti agroalimentari europei di qualità.
Basti pensare che il valore dell’export in Cina di prodotti agroalimentari italiani è triplicato negli ultimi 10 anni (+254%), raggiungendo nel 2018 il record di 439 milioni di euro e solo nei primi mesi di quest’anno c’è stato un aumento del 20% (analisi Coldiretti su dati Istat). 
Il prodotto italiano più esportato in Cina è il vino, per un valore di 127 milioni di euro nel 2018 con l’Italia che ha sorpassato la Spagna ed è diventata il quarto esportatore verso Pechino, ma cresce anche l’export di formaggi, olio di oliva e pasta.
Per quanto riguarda gli altri prodotti, nel 2016 è stato rimosso il bando sulle carni suine e nel 2018 quello per le erbe mediche. Come frutta fresca l’Italia può esportare solo kiwi e agrumi, mentre per alcuni prodotti, come le pere, le mele e l’uva, l’esportazione è vietata. 
L’accesso al mercato infatti non sempre è semplicissimo, dal momento che gravissimi episodi di frodi alimentari hanno portato il governo cinese alla necessaria stesura di norme di tipo sanitario particolarmente stringenti, per recuperare la fiducia dei consumatori. 
La norma di riferimento in Cina per quanto riguarda la sicurezza alimentare è la Food Safety Law of the People's Republic of China e relative Implementation Regulations approvati nel febbraio 2009, che si basa sui principi del White Paper on Food Quality and Safety del novembre 2007 (che prevede quattro dipartimenti: salute, agricoltura, controllo e supervisione della qualità). Aggiornata nel 2015, la nuova Food Safety Law pone maggiore attenzione sulla prevenzione e valutazione dei rischi alimentari, sulla tracciabilità e sulla supervisione dell’intera catena alimentare e a sanzionare con pene più severe coloro che non rispettano le norme.
Oltre a garantire la sicurezza della filiera alimentare con richieste di verifica e di ispezione in particolare per gli alimenti di origine animale (carne e derivati, latte e derivati), le autorità puntano l’attenzione, nel caso dell’ortofrutta, sugli agenti fitopatogeni, per evitarne l’introduzione in Cina. In alcuni casi (come quello su citato di pere, mele e uva) vige il divieto assoluto all’importazione, in quanto non si ritengono sufficienti le garanzie offerte dal Paese esportatore. Inoltre, con la revisione, in vigore da marzo 2014, della Consumer Rights Protection Law, sono state implementate le tutele per gli acquirenti, specialmente per quanto riguarda le vendite on line, inserendo sanzioni nel caso di frodi o di violazioni di diritti del consumatore con lo scopo di fornire maggiori garanzie ai produttori che puntano sulla qualità dell’alimento. Altrettanto stringente è infatti la verifica della applicazione delle norme: produttori e esportatori devono quindi curare massimamente gli aspetti procedurali e documentali delle loro esportazioni verso la Cina. 
Un altro trend da non sottovalutare e che sta crescendo esponenzialmente è il biologico, spinto da una costante crescita della domanda per alimenti sani e sostenibilità. 
Con 6 miliardi di euro di fatturato annuo, il mercato cinese è il quarto al mondo dopo Stati Uniti, Germania e Francia e l’Italia è il Paese con il più alto numero di imprese esportatrici verso la Cina. Inoltre il valore delle vendite di prodotto biologico nel mercato interno cinese mostra ritmi di crescita del 20% all'anno.
Non solo la vendita di prodotti biologici è in crescita nel grande mercato cinese, ma aumenta vertiginosamente la consapevolezza dei consumatori cinesi nei confronti di alimenti di qualità e salubri, aspetti questi in cui l’industria agroalimentare Made in Italy può vantare un primato di tutto rispetto. 
Anche in questo caso però è bene sapere che, nonostante le enormi opportunità, la Cina ha una legislazione nazionale sull’agricoltura biologica e un sistema di controllo e certificazione che si basa su enti certificatori riconosciuti dal Governo, ai quali è affidata in via esclusiva l’attività di controllo e certificazione dei prodotti biologici destinati ad essere importati nel territorio della Repubblica Popolare Cinese, anche se ottenuti al di fuori di essa.
Oggi infatti non esiste un accordo di equivalenza tra Unione europea e Cina sull’agricoltura biologica, perciò le aziende italiane ed europee devono essere necessariamente certificate anche secondo gli standard cinesi. Questi prevedono la certificazione di tutta la filiera secondo quattro possibili livelli: produzione, processo, marketing e sistema di gestione.
Nonostante le differenti problematiche ancora esistenti, il settore risulta in grado di offrire interessanti prospettive di crescita per la nostra nazione, nel medio e lungo periodo. L’aumento del benessere, insieme ai rapidi cambiamenti delle abitudini di vita del popolo cinese, hanno determinato la creazione di una fascia di consumatori sempre più attenta alle caratteristiche e alla qualità dei prodotti. Ed è così che proprio l’alto standard dell’agroalimentare italiano giunge a rappresentare, ancora una volta per i nostri imprenditori, un punto di forza in grado di penetrare in maniera efficace non solo il mercato cinese, ma anche quello mondiale. 


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